Il Marocco ha esportato per la prima volta della cannabis prodotta legalmente

Rassegna stampa dal Mondo: Il Post – Martedì 16 luglio 2024 – Fonte: https://www.ilpost.it/2024/07/16/marocco-cannabis-legale/

È uno dei principali fornitori sul mercato illegale, ma negli ultimi anni sta facendo degli sforzi per regolarizzare coltivazioni vecchie anche di secoli

La scorsa settimana il Marocco ha esportato per la prima volta della cannabis prodotta legalmente sul proprio territorio. Un carico da un quintale di resina di cannabis, cioè un estratto molto concentrato delle infiorescenze della pianta, è stato infatti venduto alla Svizzera, dove i prodotti della canapa sono autorizzati se presentano una percentuale di THC (la molecola che causa gli effetti psicotropi) inferiore all’1 per cento.

Nonostante le quantità di questa prima esportazione non siano state molto significative, la vendita è stata commentata sulla stampa locale con grande entusiasmo e aspettative per un settore potenzialmente molto remunerativo, dato che in Marocco si coltiva già parecchia cannabis ma in maniera irregolare e destinata perlopiù a trafficanti.

Già nel 2021 il Marocco aveva approvato un disegno di legge per legalizzare la coltivazione e la commercializzazione della cannabis per uso medico e industriale, con l’obiettivo di attrarre investimenti e creare nuove opportunità economiche. Ad oggi sono quasi 200 gli operatori attivi in questo settore che potrebbe rendere il paese molto competitivo su un mercato globale estremamente redditizio. Nel 2028 per la sola componente terapeutica dovrebbe superare i 50 miliardi di dollari (46,2 miliardi di euro), secondo una stima del fondo di investimento americano Insight Partners.

Lo scorso maggio la Federazione marocchina dell’industria farmaceutica e dell’innovazione (FMIIP) ha fatto sapere che il Marocco vuole assicurarsi una quota del mercato europeo della cannabis terapeutica compresa tra il 10 e il 15 per cento, che potrebbe generare un flusso di entrate annuo compreso tra i 4,2 e i 6,3 miliardi di dirham (circa 400-600 milioni di euro) da qui al 2028. Queste risorse, ha spiegato il presidente della FMIIP, serviranno anche a creare nuovi posti di lavoro e a stimolare il settore della ricerca e sviluppo farmaceutica.

L’azienda farmaceutica marocchina Sothema, che nel 2023 ha fatturato 230 milioni di euro, sta investendo da tempo nei medicinali a base di cannabis e ne ha sviluppati una quindicina per «patologie dolorose come tumori, sclerosi multipla o epilessia». Khalid El-Attaoui, direttore di Axess Pharma, specializzata in trattamenti antitumorali, prevede di commercializzare medicinali del genere entro il 2025 sul mercato marocchino e anche quello europeo, nonostante restino da rimuovere una serie di barriere normative piuttosto rigide, quando si tratta di farmaci psicotropi.

Un ruolo centrale in questa strategia lo sta svolgendo l’Agenzia nazionale per la regolamentazione delle attività legate alla cannabis (ANRAC, creata nel 2022), che si occupa di supervisionare, regolamentare e aggiornare le norme cui è sottoposto il settore. Secondo l’ANRAC la cannabis marocchina, che dai giornali locali viene definita “oro verde”, potrà essere utilizzata in vari settori: non solo quello medico, ma anche quello tessile o dell’edilizia, grazie alla possibilità di sfruttare la pianta della cannabis in modi diversi.

Alcuni mercati di nicchia, come quello dei trattamenti per animali con prodotti a base di CBD, un principio attivo non psicotropo i cui ricavi globali sono aumentati di 700 volte negli ultimi due anni, hanno già dimostrato le loro potenzialità. «Con la cannabis possiamo realizzare ciò che è stato fatto con l’automobile», che in quindici anni è diventata il primo settore di esportazione del Marocco, ha spiegato il direttore generale dell’ANRAC Mohammed El-Guerrouj.

La legge approvata nel 2021 in Marocco prevede anche la riconversione delle colture illegali in attività legali: una specie di sanatoria che per ora sembra funzionare. Le superfici autorizzate sono aumentate e sono distribuite soprattutto tra Al Hoceima, Chefchaouen e Taounate, tre province della regione del Rif, nel nord, dove la coltivazione della cannabis ha una storia antica di secoli. È in aumento anche il numero degli agricoltori autorizzati, che oggi si avvicina a 3.300, sette volte in più rispetto a un anno fa. L’ANRAC ha calcolato che il prezzo pagato al produttore per un chilo di cannabis prodotta illegalmente va dai 10 ai 20 dirham (da 1 a 2 euro) rispetto ai 75 dirham (circa 7,5 euro) pagati invece per la cannabis autorizzata, i cui prezzi sono regolamentati.

L’uscita totale dall’illegalità è però ancora lontana e gli agricoltori che hanno fatto questa scelta rappresentano solo una piccola parte delle circa 400mila persone che lavorano senza licenza. Secondo l’ONU nel 2021 in Marocco sono state prodotte 23mila tonnellate di cannabis e 800 tonnellate di resina, dalla cui lavorazione si ottiene l’hashish: un dato che rende il paese uno dei principali fornitori al mondo. Il primo raccolto di cannabis legale nel 2023 ha prodotto però solo 296 tonnellate. Tutti i semi – più di 2 milioni – sono stati inoltre importati dall’Europa e la semina è avvenuta tra giugno e luglio, un periodo in cui nel paese le alte temperature hanno compromesso le coltivazioni comportando, secondo l’ANRAC, perdite pari al 20 per cento del raccolto.

Uno dei potenziali ostacoli alla competitività del Marocco in questo settore sono i rischi legati al clima. Aziz Makhlouf, direttore della cooperativa Bio Cannat, ha spiegato a Le Monde che la specificità delle colture marocchine, che sono tutte all’aperto, aumenta la loro dipendenza dalle condizioni climatiche, mentre la produzione europea avviene principalmente all’interno di serre.

Uno degli obiettivi dell’ANRAC è ora quello di autorizzare l’utilizzo di semi locali, quindi non importati, e di promuovere le varietà locali di cannabis, che consumano molta meno acqua, hanno una resa migliore, un minore impatto ambientale e la cui semina può iniziare già a febbraio. L’obiettivo è rendere disponibile per gli agricoltori entro il 2025 la varietà autoctona chiamata beldiya, coltivata da secoli anche per produrre un olio che cura alcune malattie della pelle, e per produrre stoffe, corde o cesti.