Malattie mentali, serve la genetica per capirne le cause
Rassegna Stampa 12 MAGGIO 2020 – Marco Cattaneo – Fonte:
Nel mondo ne soffrono ottocento milioni di persone. Ma ancora la scienza non è riuscita a scoprire i meccanismi che le scatenano. Serve lavorare sulle loro basi biologiche e per farlo occorrono nuovi strumenti, sperimentali, d’indagine
Sono passati sette anni, ormai, da quando è andata in stampa l’ultima edizione, la quinta, del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” redatto dall’American Psychiatric Association. Un’edizione, quest’ultima, che non ha mancato di destare perplessità tra gli specialisti, non sempre concordi sui cambiamenti apportati al predecessore, il DSM-IV. Non tutti, per esempio, hanno accolto di buon grado l’idea di eliminare specifiche voci, come la sindrome di Asperger, per raccoglierle sotto l’unica definizione “disturbi dello spettro autistico”, o di cancellare tutti i sottotipi in cui era suddivisa la schizofrenia: paranoide, disorganizzata, catatonica, indifferenziata e residua. Né ha riscosso unanime consenso l’inserimento di una quindicina di nuove sindromi, dalla sindrome da cessazione dell’uso di cannabis all’hoarding disorder, il disturbo da accumulo, che porta a inzeppare in modo patologico ogni spazio di oggetti per lo più di nessuna utilità.
I sintomi comuni
Ma a ben vedere, il problema più serio delle centinaia di diverse diagnosi psichiatriche possibili è un altro. Da una parte, molte malattie mentali presentano spesso sintomi comuni, dall’altra, chi soffre di una malattia psichiatrica ha una maggiore predisposizione a soffrire anche di altre, come ha dimostrato lo psichiatra danese Oleguer Plana-Ripoll in uno studio pubblicato lo scorso anno su JAMA Psychiatry.
La difficile classificazione
Secondo molti specialisti in realtà le malattie mentali sono assai sfumate, e dunque difficilmente inquadrabili in schemi diagnostici rigidi. D’altra parte, è la stessa esperienza clinica sui pazienti a mostrare che pochi rientrano in una serie ordinata di criteri, e soltanto di rado si riesce a definire in modo univoco il complesso dei sintomi. Così la soluzione progressivamente adottata nel DSM è stata di suddividere i disturbi in sottotipi sempre più specifici. Ma anche così, la classificazione non sembra funzionare adeguatamente.
Chiarire le basi biologiche
Il problema, dicevamo, grande come una casa, è che non abbiamo ancora chiarito le basi biologiche delle malattie mentali. Negli ultimi anni sono state accumulate miriadi di informazioni a proposito dei geni coinvolti nell’esordio delle diverse malattie – e spesso si sono trovate decine se non centinaia di geni che contribuiscono a una singola patologia – ma anche dati di neuroimaging, come le risonanze magnetiche funzionali dei pazienti, che offrono uno spaccato dell’attività cerebrale. Così ora, come ha recentemente osservato Michael Marshall sulle pagine di Nature, molti ricercatori stanno rivedendo le teorie su cui è basata la nostra categorizzazione delle malattie mentali. Secondo la visione più radicale, potrebbe addirittura esserci un unico fattore che predispone le persone a un ampio spettro di malattie; sarebbero poi altre cause a determinare quale disturbo sviluppano.
Ripartire dalla genetica
D’altra parte, il National Institute of Mental Health degli Stati Uniti ha iniziato già da una decina d’anni a finanziare in modo massiccio ricerche sulle basi biologiche dei disturbi, con un risultato paradossale, ma solo all’apparenza: la psicopatologia è ancora più complessa di quanto si credesse. Persino disturbi molto distanti, in realtà, possono avere elementi in comune, non solo dal punto di vista diagnostico, ma anche da quello genetico. E proprio dalla genetica bisognerà ripartire per provare a chiarire il quadro sempre più confuso della malattia mentale. Anche se gli studi condotti finora non hanno minimamente districato il bandolo della matassa.
Il caso schizofrenia
Per la sola schizofrenia, per esempio, sono state trovate migliaia di geni considerati fattori di rischio, molti dei quali sono associati anche al disturbo bipolare, suggerendo che vi possa essere una base biologica comune. Ma studi più recenti, che si sono concentrati sulle varianti genetiche estremamente rare, hanno trovato che alcune mutazioni erano talmente rare da riscontrarsi in un unico paziente.
I diversi modelli
Davanti a un quadro così intricato, molti psichiatri, psicologi e neuroscienziati hanno provato a elaborare modelli diversi della malattia mentale, ma nessuno risulta particolarmente convincente. Occorrerà investire nuove risorse soprattutto sul fronte sperimentale, prima di poter delineare un quadro più chiaro. Che potrà finalmente offrire nuovi strumenti per la diagnosi e la terapia di malattie che colpiscono, nel mondo, quasi 800 milioni di persone.