A un mese di distanza dalla scomparsa del nostro Presidente Onorario
Il nostro grande amico Franco Casalone che ci ha lasciato prematuramente nella notte del 17 settembre 2023 all’età di 64 anni, ci lascia un enorme eredità.
Franco il guru della canapa si è spento a causa di un’infezionepresa a seguito di un’operazione dovuta ad un cancro ai reni.
Lui è stato il vero pioniere della cannabis, dedicando tutta la sua vita alla lotta contro il proibizionismo e allo studio della pianta di marijuana, esperto conoscitore dalla storia della pianta e dei suoi benefici.
Franco è stato il maggior attivista e coltivatore di marijuana in Italia e tra i più esperti in tutto il mondo. Ha dedicato la sua vita a studiare la pianta di marijuana e i suoi benefici.
Ha contribuito a tramandare la tradizione Himalayana della lavorazione del Charas oltre che a campionare migliaia di genetiche di marijuana del posto.
Per questo ha vissuto ben 10 anni in India a Malana facendosi amabilmente accettare dalla popolazione autoctona del luogo, dove nessun altro da fuori ci era riuscito, apprendendo la lingua e le tradizioni locali.
Fra le tante cose fatte da Franco Casalone ricordiamo la collaborazione con Strain Hunters, per cui ha lavorato.
Della Strain Hunters faceva parte anche Franco Loja venuto a mancare nel 2017, ma rimane mitica la puntata della spedizione in India, in cui sono presenti entrambi.
Ricordarli felici tra le piante che hanno sempre amato nella giungla Indiana di Malana, mentre mostrano tutta la passione per il loro lavoro e per la “Pianta”, come la chiamava spesso Franco.
Il giudice ha stabilito che non si può bloccare il commercio nè procedere con i sequestri della merce
Il Tar del Lazio ha bloccato il decreto del governo Meloni (entrato in vigore il 22 settembre scorso) che equiparava i prodotti a uso orale di Cbd a sostanze stupefacenti. Il provvedimento – ora sospeso fino al 24 ottobre – inseriva “le composizioni per uso orale”, ovvero da ingerire, “a base di cannabidiolo estratti dalla cannabis” nella tabella dei medicinali sezione B del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. E stabiliva che la vendita era vietata: quei prodotti potevano essere comprati solo in farmacia, con ricetta.
Da quel momento erano scattati i sequestri delle forze dell’ordine, perché anche la detenzione nei punti vendita era diventata illegale. Ma il Tar ha accolto la richiesta di sospensione urgente del decreto degli operatori del settore – presentata da Ici (Imprenditori Canapa Italia) con l’assistenza dello studio Prestige-Legal & Advisory – nel quale si sostiene che non sono arrivati i parerei scientifici necessari, come quello del Consiglio Superiore di Sanità, per stabilire che si tratti di sostanze stupefacenti. Quindi, in attesa di decidere se effettivamente quei prodotti possono equipararsi a uno stupefacente, e in conseguenza dei gravi danni causati dal blocco delle vendite e dai sequestri della merce, ha stabilito la sospensione. Dunque per ora i prodotti possono tornare in vendita e non si può procedere a sequestri.
“Si tratta del miglior risultato che potevamo ottenere – è il commento di Raffaele Desiante, presidente dell’associazione Ici – ora aspettiamo la conferma della Camera di consiglio il 24 ottobre. In queste settimane abbiamo subito diversi sequestri e le conseguenze di una situazione assurda, perché era vietata la detenzione ma anche lo smaltimento. Quindi eravamo bloccati un un limbo legislativo. Per prodotti che in realtà sono privi di efficacia drogante”.
Il ricorso inoltre sottolineava come la giurisprudenza comunitaria ha escluso che il Cbd possa costituire uno stupefacente, anche in seguito alle posizioni assunte, sul tema, dall’organizzazione Mondiale della Sanità.
Il decreto era stato pubblicato il 21 agosto scorso in Gazzetta ufficiale, a firma del ministro della Salute Orazio Schillaci che sbloccava un atto identico che il suo predecessore, Roberto Speranza, aveva emanato e poi congelato in attesa di ulteriori approfondimenti scientifici sulla materia.
Franco Casalone ha lasciato questa terra il 16 Settembre 2023
Con il cuore a pezzi, dobbiamo tristemente comunicare che il nostro amatissimo Presidente onorario ha lasciato questa terra per intraprendere un altro viaggio. Nulla sarà uguale senza di te… i tuoi insegnamenti, la tua immensa conoscenza vivano sempre in tutti noi che abbiamo avuto l’onore di viverti. Ciao Franco
Caro Franco, sei stato la storia della cannabis italiana ed internazionale, un contadino, uno che ha sempre lottato perchè “la pianta” non venisse demonizzata ma amata come hai sempre fatto tu.
Lo so che anche dall’altro lato cercavano un fine agricoltore innamorato di ciò che la natura regala ai sui figli, ma avremmo voluto averti per più tempo con noi.
Troppe cose potevi ancora insegnare ma so che la ti ameranno per quello che sei e per le cose buone che hai sempre fatto e farai.
Buon cammino Franco, noi faremo del nostro meglio per continuare ad aiutare il prossimo.
Il cannabidiolo (CBD) in quanto tale non è stato inserito nella tabella degli stupefacenti e le infiorescenze di cannabis light non vengono toccate dall’ultima mossa del Ministero della Salute. Allora possiamo stare tranquilli? Perché ci stiamo mobilitando?
CBD è l’acronimo di cannabidiolo, uno dei tanti metaboliti presenti nella Cannabis. A differenza dell’altrettanto famoso THC, il cannabidiolo non è psicoattivo ma ha proprietà rilassanti, antinfiammatorie e antidolorifiche, tanto da suscitare sempre maggiore interesse da parte della comunità scientifica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo classifica come sostanza naturale sicura e, a seguito di questa indicazione dell’OMS, le Nazioni Unite saranno chiamate ad esprimersi sull’esclusione della pianta dall’elenco delle sostanze stupefacenti. Come parteciperà l’Italia a questa votazione ancora non è dato saperlo nonostante le ripetute richieste di Forum Droghe e Associazione Luca Coscioni.
Cosa dice il nuovo Decreto del Ministero della Salute? ”Nella tabella dei medicinali, sezione B, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, e’ inserita, secondo l’ordine alfabetico, la seguente categoria di sostanze: composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di Cannabis”.
Il Decreto fa quindi fa riferimento alla tabella dei medicinali della sezione B, ossia quelli prescrivibili con ricetta non ripetibile, la stessa tabella in cui ora è inserita la cosiddetta cannabis terapeutica.
Come possiamo legge, non viene inserito il CBD in quanto tale in questa tabella. Le infiorescenze, la cosiddetta cannabis light, sembrano dunque essere salve e fuori dal mirino del Ministro Speranza. Si parla di “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di Cannabis”. Quindi diventa sostanza controllata solo la “composizione” (ossia il farmaco, ma qualcuno potrebbe interpretarlo anche come generico “prodotto”) ad uso orale (quindi olio, capsule, tinture ecc.) solo se il CBD è stato estratto naturalmente dalla pianta.
Il Decreto, come si può leggere nella premessa, è stato emanato come risposta alla richiesta di immissione nel mercato italiano di uno sciroppo a base di CBD antiepilettico e fa riferimento a preparati ad uso orale mentre vengono esclusi prodotti a base di CBD ad uso, ad esempio, cutaneo, nasale o inalatorio. Si aprono quindi ora diversi scenari.
Secondo la lettura attualmente più accreditata a seguito del Decreto tutti i prodotti al CBD estratto naturalmente per uso orale dovranno essere autorizzati dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e venduti con ricetta, escludendo quindi da questa procedura tutti i prodotti con CBD ottenuto da sintesi.
Perché il Ministero ha classificato come stupefacenti le composizioni con CBD naturale e non il CBD sintetico? Durante il processo estrattivo del CBD dalla pianta non è possibile escludere completamente la presenza di THC come residuo. Per questo, un farmaco che contiene CBD estratto naturalmente potrebbe contenere una sostanza classificata stupefacente: il THC. Cosa che non succede con il CBD prodotto da sintesi.
FederCanapa insieme all’EIHA (European Industrial Hemp Association) hanno impugnato il Decreto sostenendo che “tale provvedimento […] se da un lato riconosce le innegabili proprietà farmacologiche delle preparazioni contenenti cannabidiolo (CBD) […], dall’altro include tutti gli estratti di canapa nella nozione di “stupefacenti” a prescindere da ogni basilare distinzione tra canapa industriale e canapa stupefacente […]. L’inserimento tout court degli estratti di canapa nella tabella medicinali del Testo Unico Stupefacenti comporta dubbi interpretativi che rischiano di compromettere anche le attività di estrazione ammesse dalla legge“.
Ed è proprio questo il problema: a partire dall’entrata in vigore del Decreto, ogni giudice potrà interpretare a proprio modo l’inserimento in tabella del CBD estratto naturalmente e ad uso orale creando confusione in un mercato, come quello della canapa a basso contenuto di THC, già in balia delle più disparate interpretazioni.
Arriva un’altra spallata del governo alla cannabis light. Federcanapa: «Decisione assurda che boicotta solo i prodotti italiani»
Ancora resistono i fiori, l’olio è bandito. Dal prossimo 22 settembre non sarà più possibile per gli smart shop vendere i prodotti “da ingerire” a base di cannabidiolo. Vietato dunque l’olio, che sarà possibile acquistare solo in farmacia, mentre per ora si può ancora vendere la cosiddetta cannabis light, cioè fiori di canapa che contengono il Cbd ma non il Thc, che è il principio attivo con effetto psicotropo. «Ringraziamo l’ex ministro Roberto Speranza – commenta Antonella Soldo, coordinatrice di Meglio Legale -. Nell’ottobre del 2020 Roberto Speranza si trovò a dover registrare il farmaco che si chiama Epidiolex e lo mise nelle tabelle dei medicinali con effetti psicotropi e stupefacenti. Tutto il settore insorse, lui sospese il decreto, ma non prese nessun altra decisione. Dopo un limbo normativo tutto all’italiana, dopo tre anni è stato attivato dal ministro della Salute Orazio Schillaci».
«Il ministero della Salute ha riesumato un assurdo provvedimento sulla canapa emesso tre anni fa dall’allora ministro Speranza. Tanto assurdo che decise di sospenderlo a meno di un mese dalla sua emanazione» aggiunge in una nota Federcanapa. Le aziende del settore vogliono chiedere al Governo «garanzie sull’uso non solo farmacologico degli estratti di Cbd, ma per tutti gli usi consentiti dalla legge».
Il decreto pubblicato il 21 agosto in Gazzetta, prevede l’inserimento (revocando una sospensiva del precedente decreto del 2020) per uso orale ottenuto da estratti di cannabis nella tabella 2B dei medicinali stupefacenti, dichiarando in tal modo illecito ogni uso non farmacologico degli estratti di cannabis, comprese le destinazioni ammesse dalla normativa italiana ed europea sulla canapa industriale, quali ad esempio l’uso del Cbd per la preparazione di nuovi alimenti.
Federcanapa: “Così si danneggiano solo i prodotti italiani”
Che cosa vuol dire? Anche se per l’Oms come per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea il Cbd non ha un effetto stupefacente, in Italia sarà trattato come se lo fosse. «La decisione del ministero – conclude la nota di Federcanapa – è tanto più illogica in quanto non potrà impedire la libera circolazione in Italia di alimenti e cosmetici al Cbd prodotti legalmente in altri Paesi europei ed è dest.ata a danneggiare unicamente i produttori nazionali». Insomma tutto ciò che arriva dalla canapa a basso contenuto di Thc e quindi perfettamente legale, potrebbe essere illegale. Pure i biscotti o la farina, per dire. Ma solo se prodotti in Italia, perché la stessa produzione all’estero resta invece consentita.
«Siamo l’unico paese in Europa, e forse nel mondo, che considera il Cbd, o meglio, i preparati ad uso orale di Cbd, come uno stupefacente. Decisamente un ritorno al passato» scrive su Twitter il garante del M5S Beppe Grillo, rilanciando un post sul suo blog in cui sottolinea che «ieri, con la classica manovra estiva a sorpresa, il governo ha inserito il Cbd nella lista dei medicinali estratti da sostanze stupefacenti, con inevitabili drammatiche conseguenze per la filiera agroindustriale della canapa in Italia, Cannabis Sativa L., con un fatturato annuo di circa 150 milioni di euro».
Luca Marola, Easyjoint: “Il settore della cannabis light è stato sacrificato all’ideologia e agli interessi corporativi”
«Nel nostro Paese la furia ideologica colpisce ancora. Contro ogni evidenza scientifica, contro ogni parere autorevole, come quello dell’Organizzazione Mondiale della Santità, si trasforma per decreto legge in droga ciò che droga non è nè mai potrebbe esserla – commenta Luca Marola, pioniere della cannabis light e dirigente di Radicali Italiani -. L’inserimento del Cbd nelle tabelle dei farmaci stupefacenti è grottesco, se non criminale. Il Governo dimostra ancora una volta la sua sudditanza verso le più bieche corporazioni. Prima i balneari, poi i tassisti, ora l’industria farmaceutica e a breve, io temo, quella dei tabaccai a cui regaleranno la vendita in esclusiva della cannabis light. Un settore giovane e dinamico nato con le migliori intenzioni brutalizzato con sequestri e processi e sacrificato per gli interessi corporativi».
I prodotti da ingerire a base del principio attivo da settembre non si potranno comprare, come oggi, in canapa shop erboristerie e tabaccai. Le proteste di Radicali, associazioni e produttori
Si restringono le possibilità di acquistare la cannabis light in Italia. E presto la sostanza potrebbe essere vietata del tutto. Dal 22 settembre, intanto, nei negozi che offrono la sostanza non si potranno più vendere i prodotti “da ingerire” a base di cannabidiolo, il cbd. Con un decreto del ministro alla Salute Orazio Schillaci, che sblocca un atto identico del predecessore Roberto Speranza congelato nel 2020, il cbd diventa infatti una sostanza stupefacente e può essere venduto soltanto in farmacia.
Resistono i fiori
Resta per ora ancora disponibile la cannabis light da fumare, cioè fiori di canapa che contengono il cbd ma non il thc, la sostanza da sempre considerata stupefacente e quindi vietata. Ma potrebbe durare poco, a breve anche le infiorescenze della cannabis leggera rischiano di essere vietate. Da anni, del resto molti esponenti della maggioranza, a partire da Matteo Salvini ma anche da Fratelli d’Italia, hanno detto di volere bloccare la cannabis light per poi rallentare.
L’olio diventa come un medicinale
Intanto lo stop riguarda alla vendita senza ricetta e quindi al di fuori dalle farmacie di olio e appunto altri prodotti da ingerire a base di cbd, che erano sempre più diffusi ed utilizzati come rilassanti. Nell’atto del ministero il cannabidiolo è inserito nelle tabelle delle sostanze stupefacenti (quindi da vendere solo come farmaco) e non si danno nemmeno dosaggi minimi sotto i quali mantenere la libera vendita. Il blocco dunque è assoluto. Alla Salute si sono mossi dopo due pareri dell’Istituto superiore di sanità, uno di Aifa e uno del Consiglio superiore di sanità. L’idea è quella che non si sta vietando la sostanza ma la si sta regolamentando. Si parte dal principio che il cbd sia efficace contro alcuni problemi di salute, nel decreto si cita l’epilessia, e proprio per questo debba essere trattato come un farmaco e non venduto senza prima controlli e autorizzazioni, come se fosse un integratore.
“Per l’Oms non è uno stupefacente”
La decisione non piace ai Radicali, che vanno all’attacco: “Il provvedimento avrà certamente un grande impatto su tutte le aziende che si occupano di produzione, trasformazione e commercializzazione di estratti di canapa a base di cbd di origine naturale, perché contrariamente alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità e alle pronunce della Corte di giustizia europea, la vendita richiederà un rigoroso sistema di registrazione come un farmaco presso il ministero della Salute, una procedura assolutamente inadatta per una sostanza senza rischi, ma anzi con benefici comprovati per la salute di migliaia di persone, come il cbd”, dicono Giulia Crivellini e Federica Valcauda. Si ricorda anche che il cbd non ha proprietà stupefacenti. “Lo ha confermato molto recentemente la Commissione di esperti dell’Oms. Questa classificazione quindi non solo è priva di fondamento scientifico, ma può avere gravi ripercussioni per l’Italia sul panorama europeo ed internazionale”. Dall’associazione Aduc spiegano che “nelle farmacie italiane sono venduti diversi tipi di preparati a base di cbd a uso galenico ma il prodotto con concentrazioni inferiori è venduto anche nei canapa shop, nelle erboristerie e nei tabaccai ed è utilizzato per favorire il rilassamento, diminuire ansia e lenire dolori. Da settembre tutto ciò che contiene cbd ed è ad uso orale e non cosmetico sarà appannaggio delle aziende farmaceutiche”. Secondo Aduc bisognava prevedere che sotto una certa concentrazione di cbd, il 10%, si fosse in presenza di un integratore, come hanno deciso di fare in Francia. “Molto dipenderà da cosa accadrà in Europa, dove è in corso la valutazione dei cibi contenenti vbd all’interno dei Novel Food, come avviene in UK e in Francia. Quanto alla possibilità che le aziende si organizzino per fare ricorso al Tar, per Bulleri, «è da valutare con cautela, sicuramente è discutible l’inclusione negli stupefacenti del Cbd”.
“I prodotti di altri Paesi europei arriveranno comunque in Italia”
Federcanapa, infine, fa sapere che “valuterà nei prossimi giorni le azioni più efficaci da intraprendere con gli operatori economici del settore per ottenere dal Governo garanzie sull’uso non solo farmacologico degli estratti di cbd ma per tutti gli usi consentiti dalla legge”. Si aggiunge che anche sul piano farmacologico, “la posizione del ministero italiano è in antitesi con le decisioni assunte dalle analoghe autorità tedesche, inglesi e francesi, che hanno escluso l’assoggettabilità di medicinali anche ad alta concentrazione di cbd, tra gli stupefacenti, ed è in contrasto con la normativa comunitaria in materia di organizzazione del mercato comune e di antitrust”. La decisione del ministero “è tanto più illogica in quanto non potrà impedire la libera circolazione in Italia di alimenti e cosmetici al cbd prodotti legalmente in altri Paesi europei ed è destinata a danneggiare unicamente i produttori nazionali”.
Uno studio inglese mette in luce che anche se nel Regno Unito è legale e disponibile da un anno e mezzo, le prescrizioni sono quasi a zero. In Italia siamo più avanti ma ancora la resistenza a prescriverla è elevata. I motivi dietro alla resistenza dei medici
DA PIÙ di 10 anni in Italia i medici possono prescrivere la cannabis per uso medico per diverse patologie e condizioni cliniche. Nonostante sia trascorsa più di una decade, le prescrizioni sono ancora basse. E non è così soltanto in Italia. Uno studio condotto nel Regno Unito dall’Imperial College London e dalla London School of Economics and Drug Science mostra che qui, a distanza di 20 mesi dalla legalizzazione, le prescrizioni sono quasi a zero e i medici assumono atteggiamenti scettici. La ricerca, pubblicata su Bmj Open, indaga le cause di questa resistenza.
Nel Regno Unito
Dall’indagine inglese è emerso che migliaia di pazienti si auto-prescrivono prodotti illegali a base di cannabis ad uso medico e questo avviene, spiegano gli autori, a causa del fatto che medici e farmacisti non hanno ancora abbracciato l’opzione, nonostante molti preparati medicinali siano già disponibili per i pazienti. I ricercatori hanno analizzato i dati dell’uso della cannabis terapeutica nel Regno Unito nell’ultimo anno. Non risulta quasi nessuna prescrizione tramite il sistema sanitario e si sono registrati meno di 100 acquisti da fornitori privati, oltretutto relativi a prodotti che costano almeno 1.000 dollari al mese. Per questo molti genitori di bambini con epilessia infantile grave che non risponde ad altre terapie – che rientra fra le patologie per cui la cannabis terapeutica si è dimostrata efficace ed è autorizzata – si spostano oltreoceano per ottenere i farmaci. In più gli autori sottolineano che ci sono 1.4 milioni di utenti che acquistano prodotti a base di cannabis a uso medico sul mercato nero, con tutti i rischi del caso. Insomma, le cifre parlano chiaro e mostrano che in Inghilterra l’aggiornamento sulla cannabis terapeutica c’è stato soltanto a livello legislativo ma non nella pratica.
La situazione in Italia
L’Italia è un poco più avanti del Regno Unito. Nel nostro paese i primi cambiamenti sono avvenuti nel 2007, quando il Tetraidroccanabinolo (Thc) è stato inserito nelle sostanze stupefacenti utilizzabili per realizzare medicinali: da quell’anno è possibile importare alcuni medicinali contenenti Thc. Tuttavia, all’epoca soltanto il Thc e non la cannabis intera – che è un insieme di vari ingredienti e sostanze di cui alcune non del tutto conosciute – era utilizzabile a scopo medico. Soltanto nel 2013, infatti, è stato adottato l’utilizzo della cannabis, sempre ad uso medico, in toto, con la dicitura ‘medicinali stupefacenti di origine vegetale a base di cannabis’ (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture) nel decreto legge 23 gennaio 2013.
Preparazioni o farmaci?
Questi preparati, come sottolinea il ministero della Salute, possono essere utilizzati in vari disturbi, anche se non c’è un’indicazione medica specifica, come avviene per tutti i farmaci per una determinata patologia e condizione, per cui c’è un’indicazione e un dosaggio indicati dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). La cannabis terapeutica non è una cura per le patologie per cui si è dimostrata efficace, ma può alleviare il dolore e i sintomi associati. Le patologie sono dolore cronico, spasmi muscolari in patologie neurologiche, nella nausea e nell’anoressia associata al cancro, all’Hiv e alla chemio e radioterapia, il glaucoma e la sindrome di Tourette. “L’unico medicinale che è autorizzato dall’Aifa e disponibile sul mercato è il Sativex – spiega Gioacchino Calapai, membro della Società Italiana di Farmacologia e della Società Italiana di Tossicologia, ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Messina – a base di Thc e cannabidiolo, indicato nei pazienti con spasmi muscolari dovuti a sclerosi multipla che non rispondono ad altri antispastici”.
Mentre a livello europeo, un altro farmaco, l’Epidiolex, a base di cannabidiolo, ha recentemente ricevuto l’approvazione per l’immissione in commercio da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), ma non ancora dall’Aifa, dunque non è ancora rimborsato in Italia. L’epidiolex è indicato in alcune forme epilettiche rare e gravi che non rispondono ad altri trattamenti. “La presenza di un unico medicinale con indicazioni specifiche dell’Aifa, il Sativex”, aggiunge Calapai, “è dovuta al fatto che le preparazioni a base di cannabis per uso medico sono numerosissime e la varietà delle sostanze contenute è molto variegata. Anche per questo ad oggi la cannabis terapeutica non è molto studiata all’interno delle sperimentazioni cliniche”. A parte il Sativex, dunque, i pazienti con dolore cronico e con le altre condizioni previste possono ricevere prescrizioni e sono trattati quasi esclusivamente con preparati magistrali dalle infiorescenze essiccate. “Questo elemento – sottolinea Calapai – unito alla scarsa formazione e alla disinformazione sul tema rappresenta un forte ostacolo alla prescrizione della cannabis terapeutica”.
Fra scarsa formazione e preoccupazioni
La formazione dei medici e degli operatori sanitari, infatti, non è adeguata ai tempi e alle nuove disposizioni di legge, secondo l’esperto. “Fino a pochi anni fa la formazione universitaria e post-universitaria si concentrava sui possibili danni dovuti al consumo di cannabis – fa notare Calapai – e non sull’efficacia della cannabis medica nell’alleviare il dolore e alcuni sintomi in specifiche patologie”. Questo gap di conoscenze alimenta la resistenza alla prescrizione. “Un altro farmaco – aggiunge l’esperto – indicato in alcune forme rare e gravi di epilessia infantile, che non risponde ad altri trattamenti è l’Epidiolex, basato sul cannabidiolo, che si è rivelato efficace”.
Anche gli autori dello studio inglese su Bmj Open segnalano la preoccupazione dei medici inglesi per la mancanza di prove scientifiche a supporto dell’efficacia della cannabis terapeutica. Questo perché spesso mancano studi clinici approfonditi. Ma gli autori spiegano che se si dà voce a queste preoccupazioni non si tiene conto della presenza di varie ricerche (forse meno approfondite) che mostrano l’efficacia e un importante miglioramento dei sintomi nel caso di persone con malattie in cui le altre terapie non funzionano o non sono tollerate. Insomma, secondo i ricercatori inglesi, l’idea che si possa procedere soltanto in presenza di studi clinici deve essere messa da parte in favore di un approccio maggiormente centrato sul paziente, anche considerando che le stesse Food and Drug Administration (Fda) statunitense e l’Ema europea hanno approvato circa 50 medicinali, dal 1999 al 2014, in assenza di questi specifici studi clinici.
Le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente le sue proprietà medicinali
Le Nazioni Unite questa mattina hanno riconosciuto ufficialmente le proprietà medicinali della cannabis in un voto espresso a Vienna dagli Stati Membri nel corso della Commissione droghe delle Nazioni unite (Cnd), l’organo esecutivo per la politica sulle droghe.
In agenda c’era il voto su sei raccomandazioni che l’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (Oms), ha adottato qualche anno fa e che volevano ricollocare la cannabis all’interno delle quattro tabelle che dal 1961 classificano piante e derivati psicoattivi a seconda della loro pericolosita’. La cannabis viene quindi tolta dalla tabella 4, quelle delle sostanze ritenute piu’ pericolose in virtu’ dei suoi impieghi terapeutici. Da notare che l’Ungheria ha votato contrariamente alla posizione comune dell’Ue.
“La decisione di oggi toglie gli ostacoli del controllo internazionale, imposti dal 1961 dalla Convenzione unica sulle sostanze narcotiche, alla produzione della cannabis per fini medico-scientifici”, ha detto Marco Perduca, che per l’Associazione Luca Coscioni, attiva a livello internazionale a tutela del diritto alla scienza e alla salute, coordina la campagna ‘Legalizziamo!’. Perduca ha aggiunto che il voto e’ importante “anche perche’ le raccomandazioni dell’Oms erano state elaborate sulla base della letteratura scientifica prodotta negli anni, in condizioni molto difficili”.
“Finalmente la scienza diventa un elemento fondamentale per aggiornare decisioni di portata globale, come quelle delle Convenzioni nu sulle droghe, non solo ai mutati scenari sociali e culturali ma anche alla luce del progresso scientifico”, aggiunge Perduca.
Dei 53 Stati quasi tutti quelli appartenenti all’Unione Europea – ad eccezione dell’Ungheria – e alle Americhe hanno votato a favore, compresa l’Italia, raggiungendo la maggioranza di un solo voto, a quota 27. Gran parte dei paesi asiatici e africani, invece, si sono opposti. Questo cambiamento facilitera’ la ricerca scientifica sulla la cannabis, nota per i benefici nella cura del morbo di Parkinson, della sclerosi, dell’epilessia, del dolore cronico e del cancro.
Dopo 60 anni la cannabis esce dalla tabella Onu degli stupefacenti.
Va in fumo l’ultimo pregiudizio sulla sostanza più discussa di sempre. Sono state riconosciute le proprietà mediche della cannabis che ora non fa più parte delle sostanze ritenute pericolose. La Commissione delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti si è riunita per votare una serie di misure proposte dall’Organizzazione mondiale della sanità sulla riforma internazionale della cannabis. In particolare è stata decisa la declassificazione della sostanza dalla tabella nella quale si trovano sostanze come eroina e cocaina riconoscendone il valore terapeutico. L’Unione europea ha votato compatta.
Cosa è accaduto.
Era da 59 anni che non venivano prese decisioni di questa portata sulla tossicità delle sostanze. Sono state cambiate le quattro tabelle che dal 1961 classificano piante e derivati psicoattivi a seconda della loro pericolosità. Secondo gran parte della comunità scientifica la cannabis a scopo terapeutico ha molteplici benefici sul sistema nervoso e viene oggi usata per il trattamento di diverse malattie, come il Parkinson, la sclerosi, l’epilessia, il dolore cronico e i tumori. Ricordiamo che da una decina di anni nel nostro Paese è consentito il ricorso alla cannabis terapeutica se in possesso di regolare prescrizione medica. La decisione sicuramente spingerà .Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell’International Narcotics Control Board, l’Italia avrrebbe un fabbisogno di 1.950 kg all’anno di cannabis medica. Solo una piccola parte di questo fabbisogno è soddisfatto da produzione nazionale, il resto viene importato principalmente dall’Olanda.
Cosa accadrà.
La notizia era nell’aria. Già ieri il Marijuana Index, l’indice che raccoglie le società Usa attive in questo business era in deciso rialzo. Tuttavia, ad oggi, nella maggior parte del mondo, possedere e consumare marijuana è illegale. Le legislazioni, però, sono diverse da Paese a Paese. In generale, i Paesi asiatici e quelli europei sono i meno tolleranti. Il primo Paese al mondo ad aver legalizzato la cannabis è stato l’Uruguay dal dicembre del 2013. Negli Stati Uniti, invece, Colorado e California hanno scelto con modalità diverse la strada della legalizzazione. In Europa la marijuana è illegale (con depenalizzazioni variabili sul possesso) in Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Irlanda, Grecia e Finlandia. La pena su possesso, vendita, trasporto e coltivazione è stata revocata solo in Olanda. In Spagna, invece, è possibile coltivare o consumare cannabis, ma solo nelle mura domestiche. Insomma, difficilmente il voto all’Onu non avrà un impatto immediato. I Governi possono decidere come classificare la cannabis e quindi nel breve al massimo assisteremo alla ripresa di un dibattito che dura da decenni. La decisione tuttavia è positiva perché riconosce finalmente gli effetti positivi della sostanza sui pazienti e a incentivare la ricerca medica.
La proposta dei meloniani in Senato: equiparare la vendita di canapa oggi legale al “traffico illecito di sostanze stupefacenti”
Nessuno tocchi il vino, ma la cannabis leggera sì. Fratelli d’Italia, che col ministro Francesco Lollobrigida in Ue porta avanti la crociata per scongiurare le etichette sanitarie sulle bottiglie di alcolici, vuole mettere al bando la canapa legale “per uso ricreativo”. Perché “è grazie a questo nuovo business – sostengono i meloniani – che molte persone si avvicinano alla marijuana”. La proposta di legge è già stata protocollata in Senato, e sta marciando di pari passo col provvedimento allo studio del ministro della Salute Orazio Schillaci, che vieterebbe le sigarette, sia tradizionali che elettroniche, anche all’aperto. In calce al ddl anti-canapa c’è la firma di una dozzina di parlamentari: da Antonio Iannone, tesoriere del gruppo di FdI a Palazzo Madama, alla vice-capogruppo Antonella Zedda, alla senatrice Domenica Spinelli (in questo caso non vale il detto latino: nomen omen).
Nel mirino c’è la cosiddetta cannabis leggera, permessa in Italia dalla fine del 2016, governo Renzi, attraverso una legge che ha consentito la coltivazione e il commercio di prodotti con un contenuto di THC, uno dei maggiori principi attivi, entro il limite dello 0,6%. La legge del 2016, pensata per favorire la produzione di canapa, fissava alcune destinazioni d’uso – alimenti e cosmetici, semilavorati per applicazioni industriali, prodotti per la bioedilizia e così via – senza in realtà menzionare lo smercio per uso ricreativo. Che però, non essendo vietato, ha preso comunque piede, spesso con qualche stratagemma, per esempio la vendita delle infiorescenze sottoforma di deodoranti o di prodotti da collezione.
Ora il partito della premier chiede lo stop. Anche se la cannabis leggera, come ammettono gli stessi firmatari di FdI, “non ha effetti psicotropi, creati da alti livelli di THC”. Ma, si legge sempre nella proposta di legge, “il limite previsto dalle norme potrebbe produrre ugualmente effetti psicotropi, semplicemente aumentando la dose dei prodotti consumati”. Insomma, visto che un uso smodato di cannabis legale potrebbe far male, meglio vietare il prodotto tout court. Principio che per i meloniani non vale quando si parla di vino, dato che il ministro Lollobrigida, proprio per contrastare le etichette che vorrebbero imporre in Irlanda, sosteneva: l’abuso è dannoso, ma un uso moderato è positivo.
Non vale per la canapa. L’approccio, spulciando il testo, sembra ideologico. Al centro del bersaglio c’è un “nuovo fenomeno che rischia di portare a uno sdoganamento e a una banalizzazione del rischio che il consumo di cannabis porta con sé, e l’effetto può essere dirompente soprattutto sui più giovani”, scrivono i senatori di FdI. E ancora: “Stiamo assistendo a un vero e proprio primo approccio alla legalizzazione della cannabis in Italia, che riveste aspetti sociali non trascurabili e che si sta affermando soprattutto grazie a un vuoto normativo”. Ecco la soluzione, allora: “equiparare” la vendita di canapa leggera al reato di “produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti”.